I telefoni cellulari, una volta, erano più che altro dei mattoncini di plastica piuttosto che dei dispositivi per parlare con gli altri. Oggi, grazie a sviluppi tecnologici, nuovi strumenti e prestazioni, sono diventati dei computer tascabili.
Gli smartphone di oggi sono strumenti potenti, capaci di eseguire un gran numero di applicazioni, alcune delle quali progettate per mettere a punto il telefono stesso, e ottenerne il massimo in termini di prestazioni. Non mancano, infine, gli strumenti per gli sviluppatori che vogliano cimentarsi nella stesura di nuovi programmi.
Con i computer generici che tutti abbiamo in casa o in ufficio, ci siamo abituati a poter modificare praticamente tutto al loro interno, dalla modifica dell’hardware a quella del kernel del sistema operativo, di solito con l’obiettivo di aumentare le prestazioni. Con i telefoni, però, non si può fare. Si possono aggiungere facilmente schede di memoria, o un ricevitore GPS Bluetooth, ma poco di più. Spesso le nuove applicazioni non si possono installare, a meno che non siano accompagnate da una certificazione; anche quando si tratta di una nuova versione del sistema operativo bisogna aspettare molto prima che sia possibile installarla, e spesso questa possibilità è preclusa. Le applicazioni devono funzionare all’interno dei ristretti limiti dell’API (Application Program Interface, parte del sistema operativo che permette l’interazione tra programma e utente), e le possibilità di spremere al massimo il terminale sono praticamente nulle.
La seccatura peggiore è il blocco impostato dall’operatore telefonico, dal produttore, o da entrambi. So che c’è più di quello che vedo, che il mio smartphone è potente quanto un PC, ma mi sento in trappola: ho a disposizione solo un gruppo di applicazioni declassate, e suonerie inutili, il cui unico scopo è tenermi rinchiuso tra le grinfie dell’operatore. Un terminale con una grande potenza di calcolo è stato ridotto ad una macchinetta per generare profitti, non certo il terminale tascabile che volevo.
Spirano, però, venti di cambiamento. Gruppi di sviluppatori indipendenti hanno sbloccato molti dei telefoni esistenti, e allo stesso tempo ne sono comparsi alcuni già sbloccati e completamente aperti, due per l’esattezza. Non sono ancora pronti al mercato di massa, e di certo non hanno il fascino del famoso iPhone, ma sono aperti, pronti ad ospitare ogni tipo di nuova applicazione, comprese le personalizzazioni del sistema operativo, o ad installare applicazioni scaricate da un qualsiasi servizio online.
I telefoni su cui ci si può sentire liberi, ad oggi, sono decisamente per utenti Linux, ma rappresentano gli arieti che il mondo open sta usando per entrare nel settore mobile. I primi due telefoni Linux completamente personalizzabili sono il Greenphone, basato Trolltech QTopia e il Neo1973 Openmoko di FIC. Tuttavia il primo non è più in produzione, sostituito dal secondo. Restano disponibili i kit per gli sviluppatori, utili nel caso riusciste a procurarvene uno usato. La comunità che fa riferimento a questo telefono, al momento, è ancora molto attiva.
Openmoko e il FIC Neo1973Gli sviluppatori OpenMoko sono alla ricerca costante di un dispositivo portatile completamente open. Il Neo1973, a volte definito come l’anti-iPhone, rappresenta un progetto molto ambizioso e, proprio per la sua natura, supporto e applicazioni abbondano. FIC, uno dei più grandi distributori taiwanesi, finanzia il gruppo che si occupa del progetto, e produce fisicamente il Neo1973. Il suo nome si deve alla data della prima telefonata su rete cellulare della storia. Il terminale è già disponibile, ma solo verso la fine del 2008 dovremmo vedere la versione consumer, dotata di OpenMoko. All’interno del programma OpenMoko, i primi terminali, “Dispositivi Fase 0″, e sono stati distribuiti ad sviluppatori selezionati. Al momento è iniziata la vendita, la Fase 1”, diretta al resto del bacino degli sviluppatori. L’obiettivo è costituire una suite completa di applicazioni, per rendere il terminale pronto alla Fase 2, cioè quella consumer. Ci sono anche delle differenze hardware, tra le ultime due fasi del progetto, tra le quali segnaliamo l’aggiunta del supporto Wi-Fi.
Il Neo1973 Fase 1 è un dispositivo 2.5G (quadribanda per la voce e GPRS), basato su un processore Samusung 266 MHz SOC RAM. L’hardware GSM non è l’unico a onde radio del Neo, che è dotato anche di Bluetooth 2.0 e AGPS. La connessione USB è ferma alla versione 1.1. Lo schermo ha una risoluzione relativamente alta, trattandosi di un VGA TFT da 2,8″, che può essere usato sia con il pennino che con le dita. La memoria interna, 128MB RAM e 64MB NAND, può essere aumentate con una scheda microSD compatibile SDIO.
Ai nostri laboratori è arrivato un dispositivo Fase 1, insieme a moltissimi accessori. Il pennino è anche una penna sfera, un puntatore laser e una minitorcia. La qualità della custodia e del cordone ci ha impressionato, così come le cuffie con microfono incluse. Nella scatola c’è anche una microSD da 512M. Non ci sono SIM, e infatti questo telefono può essere associato ad un qualsiasi operatore telefonico GSM. Esiste anche una versione “advanced”, che comprende altro hardware per lo sviluppo addizionale, PSU (cioè l’alimentatore da viaggio, mentre la versione base si ricarica via USB), e una valigetta rigida per contenere il tutto.
L’aspetto è del tutto insolito. La forma si potrebbe definire quella di un rettangolo arrotondato, una specie di via di mezzo tra un’ellisse e un rettangolo vero e proprio; ospita uno schermo a tocco VGA e ha le dimensioni di un PDA. Ha solo due bottoni, quindi per lo sviluppo e i test andrà collegato ad una console apposita tramite la porta USB, e le applicazioni dovranno funzionare alla perfezione con il touchscreen. Come abbiamo detto sopra, per ricaricarlo va collegato alla porta USB, visto che il caricatore da viaggio non è incluso; potrete comunque acquistare un caricatore a parte di un’altra marca (nel nostro caso ha funzionato bene quello del Blackberry).
La ricarica è il primo ostacolo: la gestione installata fa passare solo 100mA a telefono spento, quindi ci possono volere fino a 40 ore per ricaricare del tutto la batteria. Si può risolvere collegandolo ad un computer acceso e che riconosca l’hardware OpenMoko (o usando un computer Linux o uno Windows con gli appositi drivers, sviluppati direttamente dalla comunità); in questo modo avrete una corrente di 500mA ed una ricarica più rapida.
Nella prossima puntata analizzeremo le altre piattaforme, con un occhio particolare a Trolltech Qtopia e al Greephone.
di Mary Branscombe - Tom’s Hardware