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6 novembre 2008 Visualizzazioni: 1148 Business, Focus

Con il software libero si può fare business

Uno degli errori più grossolani che si può compiere quando si parla di software libero è attribuire alla parola “free” il significato di “gratis”. Si confonde la libertà d’uso, modifica e distribuzione con la gratuità del software, di fatto svilendone il vero valore. Un discorso analogo si può fare per il software aperto: anche in questo caso l’apertura (la libertà) del codice sorgente non ha nulla a che vedere con la gratuità del software.

E qui si potrebbe entrare nella diatriba che oppone il movimento del Free Software a quello dell’Open Source, ma non è questa la sede per farlo. Citiamo, però, alcuni stralci del saggio Perché “Software Libero” è meglio di “Open Source” di Richard Stallman. In queste pagine il fondatore della Free Software Foundation scrive alcune frasi illuminanti sui rapporti che intercorrono tra i due movimenti:

« … La differenza fondamentale tra i due movimenti sta nei loro valori, nel loro modo di guardare il mondo. Per il movimento Open Source, il fatto che il software debba essere Open Source o meno è un problema pratico, non un problema etico.

Siamo in disaccordo sui principi di base, ma siamo più o meno d’accordo sugli aspetti pratici. Perciò possiamo lavorare ed in effetti lavoriamo assieme su molti progetti specifici. Non vediamo il movimento Open Source come un nemico. Il nemico è il software proprietario.

La definizione ufficiale di “software open source,” come pubblicata dalla Open Source Initiative, si avvicina molto alla nostra definizione di software libero; tuttavia, per certi aspetti è un po’ più ampia, ed essi hanno accettato alcune licenze che noi consideriamo inaccettabilmente restrittive per gli utenti. Tuttavia, il significato ovvio di “software open source” è “puoi guardare il codice sorgente”.

Ma la spiegazione di “software libero” è semplice: chi ha capito il concetto di “libertà di parola, non birra gratis” non sbaglierà più. …
».

Al di là dell’etica, quindi, i due movimenti sono più vicini di quanto possano pensare certi integralisti del software libero, e non siamo noi a dirlo, ma lo stesso Richard Stallman.

Se si analizzano le quattro libertà del software libero e i dieci punti della Open Source Definition, poi, si evince che i due movimenti condividono almeno due concetti: il software deve essere liberamente distribuibile e il codice sorgente deve essere pubblico in modo che ognuno possa consultarlo e modificarlo. E qui ci possiamo porre una domanda imbarazzante: il software è libero, i sorgenti sono a disposizione di tutti, e quindi chi ci lavora, chi lo crea, chi lo migliora perché lo fa, se non ne può ricavare un utile? Forse lo fa per la gloria? O forse perché è un benefattore dell’umanità ed è ricco di suo?

Logica conseguenza di queste considerazioni è che un modello di sviluppo basato sull’assoluta gratuità del software non può fare molta strada: chi scrive codice “tiene famiglia”, come tutti, e, come tutti, ha bisogno di mangiare, quindi deve essere possibile realizzare un modello economico che contemperi la libertà di diffusione del software e i fabbisogni “ alimentari” degli sviluppatori. Senza contare, poi, che molte grandi aziende, IBM in testa, finanziano e sostengono il movimento del software libero con fondi e con risorse, siano esse dipendenti o blocchi di codice. Quello di IBM, poi, è un case history emblematico, citato nel volume Wikinomics 2.0.

La risposta all’ingombrante quesito di cui sopra la dà lo stesso Richard Stallman nelle pagine del Gnu Operating System dove definisce il Free Software: « … Free software is a matter of liberty, not price. To understand the concept, you should think of free as in free speech, not as in free beer… », con una sorta di scioglilingua basato sui due diversi significati che, nella lingua inglese, assume la parola “free”: “libero” e “gratis”. La traduzione ufficiale italiana recita «Il Software libero è una questione di libertà, non di prezzo. Per capire il concetto, bisognerebbe pensare alla libertà di parola e non alla birra gratis», e si perde parte del gioco di parole dell’originale perché nella nostra lingua, la confusione tra “libero” e “gratis” non esiste.
Nello stesso documento, poi, appare un’altra affermazione, a maggior chiarezza di tutto il concetto: «… Software libero non vuol dire non-commerciale. Un programma libero deve essere disponibile per uso commerciale, sviluppo commerciale e distribuzione commerciale. Lo sviluppo commerciale di software libero non è più inusuale: questo software commerciale libero è molto importante…».

Come si può sfruttare commercialmente un software la licenza d’uso del quale, per definizione, non può essere venduta? Semplicemente proponendo e vendendo servizi a valore aggiunto; un esempio? Canonical ha distribuito, nei negozi della catena Best buy, confezioni contenenti il CD di Ubuntu 8.04, una guida e la possibilità di attivare un servizio di supporto della durata di sessanta giorni, il tutto al prezzo di 19,99 dollari.
Altri servizi a valore aggiunto possono essere la consulenza, la formazione, la manualistica, l’installazione e la messa a punto del software, le personalizzazioni per usi o scopi particolari, la migrazione da ambienti proprietari e simili. È ovvio che se non si ha bisogno di assistenza per l’installazione, si sa usare il software, non si ha voglia di leggere i manuali, non si ha necessità di personalizzazioni e ci si scarica i Cd di installazione dal web non si deve pagare nessuno, a meno che non si decida di fare una donazione.

Questo è il modello di business collegato al free software, ed è sulla diversa percezione di questo modello che si ha sulle due rive dell’Atlantico che Larry Augustin ha scritto un post nel suo blog.

A questo punto si possono spendere due parole di presentazione su Larry Augustin, nome, forse, sconosciuto ai più; tracciamone una breve biografia: negli anni Ottanta è consulente, sviluppatore e amministratore di sistemi Unix e, in queste vesti, lavora anche per AT&T Bell. Nei primi anni Novanta si dedica allo sviluppo di Bison++, generatore di analizzatori sintattici compatibile con il linguaggio C++, consegue un dottorato di ricerca alla Stanford University e, assieme a James Vera, fonda VA Linux, azienda che ha lo scopo di sfruttare il valore commerciale del software libero. Nel 1999 l’azienda cambia nome e diviene Sourceforge,net, il massimo deposito mondiale di progetti software liberi e aperti (nella primavera del 2007 ospitava oltre 140.000 progetti).

Lasciata la sua creatura, Larry Augustin, cui non difetta il talento imprenditoriale, si dedica al venture capitalism e investe in aziende produttrici di software: oggi siede nel consiglio di amministrazione di Fonality, Hyperic, Medsphere, Pentaho, SugarCRM e XenSource. In aggiunta a tutto ciò, non si può dimenticare che il nostro è stato, nel 1998, uno dei fondatori della Open Source Initiative, assieme a Perens, Raymond, O’Reilly e altri.

Nei prossimi giorni cercheremo di analizzare quelle che sono le impressioni di Larry Augustin in materia.

di Mario Govoni - TuxJournal.net

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  • P@0

    Bell’articolo, su un argomento molto interessante. Anche attuale viste le ultime notizie sulle finanze di canonical.

  • http://paolodelbene.pbwiki.com/FrontPage paolo

    basta ho letto sin troppo per i miei gusti:

    il software libero si definisce tale perchè in base alle 4 punti della GNU General Public License, l’utente

    a) è libero
    b)può scambiarsi informazioni con qualunque altra persona
    c)può condividere il software senza commettere alcun crimine e contribuendo a formare una società basata sulla cooperazione e non sull’individualismo
    d)è libero di fare le dovute modifiche al software coperto da GNU General Public License purchè ne ridistribuisca i sorgenti ed è invitato a scrivere note di chiarimento nel codice sorgente affinchè tutti possano capire cosa combina un set di istruzioni e ciò è fondamentale, cosicchè lo possano capire anche i meno bravi, al tempo stesso è invitato a scrivere manuali/guide/libri che spiegano esattamente cosa fa quel codice sorgente e a cosa serve il programma rilasciandolo con la GNU Free Documentation License
    e)può fare la propria distribuzione e cercare di fare un proprio canale di vendi del software libero, vendere software libero non vuol dire speculare, a svantaggio della libertà, perchè deve essere ridistribuito anche il codice sorgente

    software libero vuol dire che è libero, non vuol dire gratuito, opensource, freeware…

    Free Software Refers Not Price But Freedom, So Think Free Speech Not Free Beer

    ed anche qui sottolineo che ho scritto alla Linux Foundation, sottolineando che debbono parlare di open source quando sono softwares open source, ma differenziarli dal software libero è cosa gradita perchè sono 2 cose differenti fra loro, come una mela ed un arancio, pur essendo frutta, non sono la stessa cosa, sono una differente categoria, possono essere messi in un cestino e dire che abbiamo una mela ed un arancio, ma non avremo un melarancio, perchè sono diffrenti fra loro e dunque potremo dire che abbiamo 2 frutti, non uno solo che identifica tutta la categoria.

    chi ha studiato la teoria degli insiemi e chi si occupa di DB queste cose le dovrebbe conoscere benissimo, perchè possono essere messere in relazione fra loro, pur non appartenendo ad un’unica categoria e se si ha un’attività e voglliamo sapere quali sono le cose da comprare o quelle in magazzino si può fare.

    potremo solo dire che avremo n quintali di cose, appartenenti a categorie differenti.

    inoltre sottolineo che alla Linux Foundation ho sottolineato che open source non può esser usato come scusa per fare un ditinguo dal software libero attribbuendo al software open source il pagamento, per il software libero la gratuità,

    loro giocano su questa ambiguità cosicchè le società si affidino nelle loro mani e capendo che il software libero non è vendibile.

    si parano il culo, scusate il termine, perchè di open source non v’è niente se non la parola e dunque, il softwatre che viene venduto non compare nemmeno nella categoria del software open source dove dovrebbe esser distribuito il sorgente, ma nella categoria del software non libero che non distribuisce il codice sorgente vedasi microsoft, apple, adobe….

    in questo modo le compagnie credono di stare al riparo da problemi di non acquisto dei softwares, vedasi il mio http://www.gnu-linux.it/16/Ibm.html

    società come apple che fino ad oggi hanno usato le qt libraries rilasciate con licenze non permissive come la GNU General Public License, oggi sono interessate ad usare GTK che è rilasciato con GNU Lessler General Public License.

    se prima dicevo che apple sfruttava la situazione, dal momento che chi mantiene le librerie qt aggiornate sono quelli del team di kde, nin mi sembra giusto che ora si voglia approfittare del progetto GTK, se vuole salire in groppa a GTK rilasciasse il suo lavoro con la GNU General Public License od al limite GNU Lessler General Public License, o si levasse di mezzo, perchè è software che non gli appartiene.

    “Apple down the hands from GTK” Paolo Del Bene associated member of fsf.org and fsfeurope.org

  • asd

    oltre al fatto che si puo guadagnare non poco rivendendo servizi o soluzioni preinstallate;per esempio se si deve fare un server web linux oltre a costare moooolto meno(le licenze di windows costano perfino piu dell’hardware)offrono piu sicurezza ed efficenza(non per fanboysmo linux,dico dai fatti).

  • http://giardinodelmago.blogspot.com MaGo

    @paolo
    non capisco il senso del tuo commento. Visto che hai letto fin troppo per i tuoi gusti, forse dovevi arrivare fino in fondo, quando ho citato RMS: «… Software libero non vuol dire non-commerciale. Un programma libero deve essere disponibile per uso commerciale, sviluppo commerciale e distribuzione commerciale. Lo sviluppo commerciale di software libero non è più inusuale: questo software commerciale libero è molto importante…». Puoi essere o non essere d’accordo con quello che scrivo (anche se, francamente, non capisco i motivi del disaccordo), ma evita l’ideologia e documenta le tue affermazioni: le posizioni estremiste, infatti, nuocciono alla causa del software libero.
    Ti invito, poi, a leggere la pagina http://www.gnu.org/licenses/license-list.it.html dove sono indicate Licenze di software libero compatibili con la GPL, Licenze di software libero incompatibili con la GPL, Licenze di software non libero.

  • http://cliccaqui.wordpress.com Enzo

    Il discorso ‘ chi scrive codice “tiene famiglia” ‘ non è fondato , perchè la filosofia free-software non si dice affatto che chi scriva codice debba farlo gratis, ci mancherebbe; è giusto che sia pagato per il lavoro svolto, ma una volta ultimato il lavoro chiunque può usare quel codice come cavolo gli pare (modificarlo, usarlo o venderlo come è stato detto in quest’articolo) senza pesanti vincoli a vantaggio del creatore.
    Si è deciso di coniare il termine Open Source solo per escludere il concetto di Libertà (che a molti fa paura) e prendere solo il lato pratico del free-software.
    L’open source potrà avere anche gli stessi vantaggi del Free-Software a livello pratico, ma non garantisce alcuna sorta di libertà.

  • http://giardinodelmago.blogspot.com MaGo

    @enzo
    dissento su un punto: quando scrivi che il concetto di Open Source non garantisce alcuna sorta di libertà. Ti invito ad andarti a (ri)leggere i dieci punti della definizione di software open source, perché ritengo che ti chiariscano che Open Source Iniziative garantisce un grado di libertà almeno analogo a quello di Free Software Foundation.
    I dieci punti li puoi leggere in inglese a questo indirizzo: http://www.opensource.org/docs/osd
    mentre se ne vuoi una traduzione italiana commentata e spiegata ti puoi rivolgere a questa pagina di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Open_Source_Definition
    La prima stesura della Open Source Definition è stata scritta da Bruce Perens nelle “Linee guida per il software libero in DeBian” e lo stesso Perens, insieme a Eric Raymond, Tim O’Reilly e altri ha fondato, nel 1998, la Open Source Iniziative, associazione che certifica se una licenza può essere definita o meno open source. Per informazione la GPL è certificata licenza Open Source.
    Non mi è chiaro, poi, quando dici che l’affermazione “chi scrive codice tiene famiglia” non è fondata. Non ho mai né detto né scritto che chi scrive codice debba farlo gratis, anzi.
    Tanto per capirci, ritengo che il software sia un potente strumento per la diffusione della cultura e della conoscenza e che, quindi, debba essere libero da influenze da ogni tipo, da rendite di posizione, da brevetti, da lacci e lacciuoli che ne impediscano la distribuzione. Anche la cultura e la conoscenza devono essere ugualmente libere, e l’indipendenza economica garantisce a chi produce cultura o strumenti per la sua fruizione la libertà necessaria a farlo. Sempre per chiarire la mia posizione, a me che IBM sia membro di OpenOffice.org (probabilmente la più grande comunità che si occupa di produzione e diffusione di software libero) non fa né caldo né freddo, mentre mi rivolta lo stomaco pensare che alla stessa organizzazione partecipi, attraverso Red Flag, il Governo della Repubblica Popolare Cinese (Piazza Tien An Men, Tibet e censura su Internet spiegano il perché di questa mia avversità).
    Detto questo sostenere la superiorità del software libero rispetto a quello aperto mi sembra questione di lana caprina, inerente più il tifo calcistico che la tecnologia. Signori, qui stiamo parlando di decrescita felice, di sviluppo sostenibile, di risparmio energetico, di diffusione della cultura e dell’istruzione, non di Inter e Milan.

  • poiuyt

    E’ ecomiabile lo sforzo di sintesi e di divulgazione, ma l’articolo e’ un po’ approssimativo su molti punti chiave, mi dispiace dirlo.

    Perche’ NESSUNO, RMS in testa, ha mai pensato che il freesoftware non si possa vendere. Cosi’ come gli sviluppatori: nessuno nel mondo GNU ha mai pensato che dovessero lavorare gratis. Invece questo viene ditte piu’ volte nell’articolo, o comunque e’ spiegato in maniera un po’ contorta.

  • poiuyt

    @paolo “se prima dicevo che apple sfruttava la situazione, dal momento che chi mantiene le librerie qt aggiornate sono quelli del team di kde, nin mi sembra giusto che ora si voglia approfittare del progetto GTK, se vuole salire in groppa a GTK rilasciasse il suo lavoro con la GNU General Public License od al limite GNU Lessler General Public License, o si levasse di mezzo, perchè è software che non gli appartiene.

    “Apple down the hands from GTK” Paolo Del Bene associated member of fsf.org and fsfeurope.org”

    Sono assolutamente d’accordo.

    Non e’ che quando a uno fa comodo prende il codice dove gli pare e lo mette nella roba sua blindata. C’e’ la licenza da rispettare e moltissime azienda fanno orecchie da mercante, perche’ gli fa comodo.

    Apple e’ un delle peggiori in tal senso, perche e’ quella che sfrutta di piu’ il software libero, lucrandoci sopra miliardi, e ridando indietro solo delle briciole, e questa e’ una cosa molto grave.

  • http://giardinodelmago.blogspot.com MaGo

    @
    “e’ un po’ approssimativo su molti punti chiave, mi dispiace dirlo”
    quali? mi sembra comodo lanciare il sasso e nascondere la mano.

    “ha mai pensato che dovessero lavorare gratis. Invece questo viene ditte piu’ volte nell’articolo, o comunque e’ spiegato in maniera un po’ contorta.”
    Dove? dove dico (e per giunta più volte) che uno deve lavorare gratis? Anche qui comodo fare il maestrino e non spiegare perché.
    Quanto al fatto che sia spiegato in maniera contorta, se non hai capito il mio assunto mi scuso, ma pensavo che un articolo a titolo: “Con il software libero si può fare business” senza punti interrogativi non avesse bisogno di ulteriori spiegazioni sul punto di partenza.
    E se dici “Perche’ NESSUNO, RMS in testa, ha mai pensato che il freesoftware non si possa vendere” commetti due inesattezze. La prima nei miei confronti, perché ho citato almeno due volte le parole dove RMS descrive gli aspetti economici del free software, e la seconda nei confronti del free software, perché il software libero, mio caro, NON SI VENDE, al massimo si vendono i servizi a valore aggiunto ad esso connessi. Scusami ma sono pignolo e questa tua affermazione è gravemente errata e distorsiva della realtà del free software.

  • http://giardinodelmago.blogspot.com MaGo

    ovviamente il commento precedente era in risposta a poiuyt; mi sono scordato di scrivere il nick

  • butcher

    “È ovvio che se non si ha bisogno di assistenza per l’installazione, si sa usare il software, non si ha voglia di leggere i manuali, non si ha necessità di personalizzazioni e ci si scarica i Cd di installazione dal web non si deve pagare nessuno, a meno che non si decida di fare una donazione.”
    Quindi in sostanza, oltre all’assistenza, supporto, manualistica o donazioni, come guadagna un programmatore open source?

  • http://www.tuxjournal.net Mario Govoni

    @butcher
    [ironic]Ovviamente un programmatore che fa parte di una comunità di software libero non guadagna ed è ricco di famiglia, oppure chiede l’elemosina sulle scale della cattedrale. [/ironic]
    Vediamo, seriamente, come campano: alcuni fanno consulenza o personalizzazioni o assistenza: il fatto che io non ne abbia bisogno non significa che altri non ne abbiano necessità. Altri fanno conferenze o seminari, come, ad esempio Richard Stallman, o scrivono libri o insegnano. Altri ancora sono stipendiati da società che investono nel software libero o associazioni o fondazioni: Linux Foundation, Mozilla Foundation e simili, come, ad esempio Linus Torvalds; infine, non escludo che ci sia qualcuno che lo fa per passione e per spirito collaborativo.
    Nella comunità probabilmente più grande (o tra le più grandi), cioè in quella di OpenOffice, della quale faccio parte, lo sviluppo del software, cioè la scrittura del codice, occupa un cinque per cento delle risorse della community. Gli sviluppatori che se ne occupavano erano (stime autunno 2007, le ultime che ho a disposizione) tra i duecentocinquanta e i trecento: di questi 100 erano dipendenti di Sun Microsystem, 50 di IBM e altrettanti di Red Flag, e dieci a testa appartenevano a Canonical, Novell, Red Hat e Google. Altri gruppi partecipavano con numeri meno importanti.
    La domanda, a questo punto, è: perché società come Novell, IBM e Sun, per citarne solo alcune, investono, e pesantemente, nel software libero? Le risposte possono essere molteplici ed esulano dal semplicistico “è solo marketing positivo” (faccio qualcosa di utile così si parla bene di me). Restando in casa OpenOffice quanto sarebbe costato a Sun o a IBM sviluppare da zero un programma di office automation da inserire nelle proprie soluzioni per le aziende? Sicuramente molto più di quello che hanno investito nel movimento free software: Sun si ritrova così StarOffice, rilasciato con licenza proprietaria, e IBM con Lotus Symphony, rilasciato come freeware ma non libero.
    Ovviamente queste aziende fanno i loro interessi, ma questi coincidono con quelli degli utenti, e, almeno nel caso di IBM, dichiarano pubblicamente di credere nel software libero, tanto da aver rilasciato milioni di righe di codice a vantaggio delle comunità.
    Spero la risposta sia stata esaustiva e, soprattutto, non urti la suscettibilità di qualcuno.

  • poiuyt

    Secondo me ti sbagli perché il software libero si puo’ vendere eccome, non c’e’ NULLA che lo vieti.
    Che poi sia non conveniente perche’ comunque si ha il codice, e’ un altro discorso. Ma dire che “il software libero non si vende” come lo dici tu sembra che ci sia un divieto, quando questo di fatto e’ assolutamente inesistente. Diciamo che il modello di business del freesoftware tende a disincentivare la vendita del software in quanto tale e a puntare sui servizi, questo si’.

    Il discorso e’ che uno sviluppatore di freesoftware, non *lavora gratis*, ma piu’ corettamente non mercifica il software in quanto tale, quanto il suo lavoro, le sue capacita’ e il servizio che rende al suo cliente.

  • http://www.tuxjournal.net Mario Govoni

    @poiuyt
    Dipende da cosa si intende per vendere software libero. Credo sia una questione di interpretazione: nel software proprietario vendi una Licenza d’uso, cioè un documento che non ti dà la proprietà del software ma solo la facoltà di usarlo, nel free software sei libero di usare il software perché la licenza (come la GPL) ti permette di farne quello che vuoi, compreso incassare denaro per ridistribuirlo. In questo caso, però, a mio avviso non si pagherebbe il software, ossia la possibilità di usarlo, ma i servizi connessi con la distribuzione, e in tal senso mi esprimo quando dico che non si può vendere il software libero: non puoi vendere la possibilità di usarlo. Si potrebbe anche discutere su cosa si intende per software, se è il codice sorgente o il compilato o l’interpretato, ma mi sembra questione troppo bizantina.
    Comunque credo che in materia ci sia posto per diverse interpretazioni: l’unica cosa importante è la libertà del mezzo e il fatto che questa libertà non necessariamente ne implichi l’assoluta gratuità.